lunedì 17 ottobre 2011

riduzione della fertilità nei paesi industrializzati : mito o realtà ?

"Meglio tardi che mai " è un vecchio adagio che accompagna un'azione spesso tardiva ma necessaria e  a lungo attesa. 
A giudicare dai dati statistici in nostro possesso possiamo affermare con certezza che in ambito riproduttivo tale assunto non ha grande validità, anzi andrebbe più correttamente sostituito con "prima è e meglio è".
L'evoluzione del costume della società moderna ha spostato la ricerca di prole di circa un decennio in avanti.
Gli effetti di questa tendenza cominciano a manifestarsi già da diversi anni.
Le cause di questo differimento riproduttivo sono da ricercare nelle mutate condizioni economico - sociali dell'ultimo trentennio.
Dopo l'ultimo boom demografico registratosi  tra la fine degli anni 50 e gli anni 60, si è assistito ad un progressiva riduzione delle nascite, fino ai preoccupanti livelli di denatalità che caratterizzano le società, per così dire, evolute.
E' ovvio che grande  parte di questa denatalità risente di fattori di programmazione sociale (voluti o no), ma è innegabile che una parte rilevante di tale fenomeno è determinata da  difficoltà ad un concepimento che è stato differito per lunghi anni.
In questo trend analitico socio economico devono per forza di cose trovare posto considerazioni di tipo sanitario. 
Il calo delle nascite è solamente funzione delle caratteristiche anagrafiche della popolazione ? o in questo bilancio si inseriscono fattori confondenti.
La soluzione al quesito non è facile, in quanto in una analisi puramente demografica è difficile stabilire la valenza di elementi specifici ambientali nel determinismo della patologia riproduttiva.
In letteratura scientifica si vanno accumulando prove sempre più schiaccianti circa l'azione deleteria sulla fertilità (maschile e femminile) di determinate sostanze che entrate nella catena alimentare si integrano con i processi metabolici dell'individuo provocando severe alterazioni nella produzione di gameti.
In quest'ottica è semplice rendersi conto che maggiore è l'esposizione temporale a tali sostanze (pesticidi,conservanti, etc) maggiore sarà l'effetto dannoso sull'apparato riproduttivo.
Altro punto cruciale da tenere in considerazione è la sempre maggiore incidenza di malattie sessualmente trasmesse. Anche in questo caso la diffusione di costumi sessuali più liberi, la precocità dei primi rapporti sessuali giocano un ruolo fondamentale.
Infezioni batteriche anche lievi sono spesso responsabili di lesioni  della microanatomia dell'apparato riproduttivo femminile. Si pensi alla elevatissima incidenza di patologie tubariche non ostruttive post flogistiche.
Anche in questo caso il fattore tempo, e cioè la lunga esposizione al rischio di  malattia o alla malattia stessa non può che incidere negativamente  sulla storia riproduttiva dell'individuo.
La domanda che sorge spontanea è a questo punto che fare ? ritornare a riprodursi in età adolescenziale, come nelle società rurali dell'inizio del secolo scorso, o piegarsi alle opportunità riproduttive di una società industrializzata?
La risposta, lungi dal voler fare un esercizio di retorica, sta nelle Istituzioni e nelle Agenzie educative.
La tutela di un ecosistema per quanto possibile libero da inquinanti ambientali, ancorché utopico, è senza meno responsabilità dei Governi nazionali e sovranazionali. 
La responsabilità  dell'educazione sessuale spetta, come è noto alle tradizionali Agenzie educative scuola/famiglia.
Alla Sanità compete un ruolo non facile: individuazione dei fattori di rischio, attuazione di tutte le possibili strategie di medicina preventiva, affinamento della tecnologia della medicina della riproduzione.
All'uomo della strada il buon senso, la misura , la saggezza dei nonni : prima è meglio è!